Il Carretto Siciliano
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Gabry
Antonio
Tiziana
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Il Carretto Siciliano
Il carretto siciliano
Fino alla fine del Settecento nel dipingere il carro non si andava oltre una sola mano di colore (blu, grigio, giallo), stesa per assicurare una certa protezione. Poi qualcosa cambia. Lo racconta l’etnologo Giuseppe Pitrè: “I carretti, sopra un fondo generale di color giallo nei quattro scompartimenti delle due fiancate, portavano rozzi disegni di santi, di teste e di cesti con fiori e frutta in colore rosso e di fette di mellone.” Insomma, all’inizio il famoso carretto ha poco più di qualche ingenuo fregio. Poi arriva il marketing. E così come si industriano caramellai e gelatieri, arrotini e bibitari, gli ambulanti pensano bene di attirare l’attenzione di bimbi e clienti con pitture sempre più elaborate e appariscenti: tutte da ammirare e invidiare. L’elemento scaramantico poi, conquista presto il trono: a San Giorgio che uccide il drago il posto d’onore, il pizzu, ossia il centro del travetto steso sull’asse delle ruote. Vista la condizione precaria del selciato stradale delle regge trazzere, meglio assicurarsi lo sguardo benevolo dal paradiso e scongiurare il malocchio degli iettatori.
Nessuno degli artisti del pennello resta estraneo al grande movimento di elaborazione iconografica che inizia a prendere corpo trasformandosi nel giro di poche generazioni in un grande fenomeno di costume: dal pittore di cartelli per i pupari, con il suo folto corteo dei vari Orlando, Carlo Magno, Ruggero, Rinaldo, ai pincisanti e pittori di ex voto che rubano al repertorio religioso spunti e idee da trasportare sul legno, dando origine a delle vere e proprie correnti artistiche, con i carretti a catanisa, a sant’antunisa, a bruntisa.
Nel volgere di pochi lustri ogni risvolto, anche il più inatteso, dell’immaginario collettivo verrà metabolizzato e reinterpretato secondo il gusto del maestro: episodi della conquista normanna, crociate, rivolta dei vespri, sbarchi garibaldini e guerre d’oltremare, il dramma della gelosia di Cavalleria rusticana, saghe, leggende. Cosicché, a tenere compagnia ai carrettieri durante il viaggio c’erano storie d’amore e duelli sanguinosi, le prodezze dei Mille e quelle dei Paladini, lotte contadine e passioni da melodramma, santi e faraglioni, frutta e angioletti.
Si realizzano così delle autentiche opere d’arte, chiamando a raccolta maestri ebanisti, abili ferrai ed eccellenti pittori, per coniugare amabilmente arabeschi in legno e rilievi in ferro battuto, lasciando il tocco finale a una moltitudine di ricami, ninnoli, pennacchi di lunghe bellissime piume colorate. Quindi, i carretti, nati come carri agricoli, diventano il più alto esempio di artigianato e pittura popolare siciliana.
Quando il carretto perde la sua funzione di mezzo di trasporto, i carradori trasferiscono le loro capacità decorative alle motoape (lape). E quando queste spariscono dalle strade, si va a ricercare altrove il modo di mantenere in vita una così radicata tradizione artistica.
La committenza è cambiata. Nel parco clienti figurano architetti e acquirenti stranieri, musei e enti locali. Al carretto siciliano è toccato reinventarsi in mille modi (le ruote hanno scoperto l’elettricità lasciandosi appendere a mo’ di lampadario; i pannelli hanno imparato a competere con quadri e arazzi sulle pareti di alberghi e residenze private, e le aste, quelle esili sculturine che sembrano totem da passeggio, sono finite per farsi contendere come pezzi da collezionismo). Ma la storia continua, vivissima, allegra e luminosa, come gli innumerevoli paesaggi dell'Etna.
I carretti interi, cercati in aperta campagna e sapientemente restaurati, trovano la propria collocazione ideale assieme a decine di altri pezzi (fiancate, casce, fusi, chiavi...) ripescate da chissà dove, o create di sana pianta. E sono autentici trionfi di colore, i carretti ancor oggi creati nelle nostre poche e gloriose botteghe, dove la tradizione resiste, con una tenacia tutta etnea. Figure come quella di Nerina Chiarenza (figlia di Sebastiano) e Domenico Di Mauro e della sua allieva Alice Valenti, sono ormai circondate da un’aura quasi leggendaria: depositari di un’arte che va scomparendo, tramandano gesti e conoscenze che non si spiegano a parole. Mentre Michelangelo Costantino, che da decenni raccoglie carretti e carrozze d’epoca, della memoria artistica ha fatto una vocazione: la sua collezione conta circa duecento esemplari, alcuni dei quali fanno bella mostra di sé alle Ciminiere di Catania.
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Fino alla fine del Settecento nel dipingere il carro non si andava oltre una sola mano di colore (blu, grigio, giallo), stesa per assicurare una certa protezione. Poi qualcosa cambia. Lo racconta l’etnologo Giuseppe Pitrè: “I carretti, sopra un fondo generale di color giallo nei quattro scompartimenti delle due fiancate, portavano rozzi disegni di santi, di teste e di cesti con fiori e frutta in colore rosso e di fette di mellone.” Insomma, all’inizio il famoso carretto ha poco più di qualche ingenuo fregio. Poi arriva il marketing. E così come si industriano caramellai e gelatieri, arrotini e bibitari, gli ambulanti pensano bene di attirare l’attenzione di bimbi e clienti con pitture sempre più elaborate e appariscenti: tutte da ammirare e invidiare. L’elemento scaramantico poi, conquista presto il trono: a San Giorgio che uccide il drago il posto d’onore, il pizzu, ossia il centro del travetto steso sull’asse delle ruote. Vista la condizione precaria del selciato stradale delle regge trazzere, meglio assicurarsi lo sguardo benevolo dal paradiso e scongiurare il malocchio degli iettatori.
Nessuno degli artisti del pennello resta estraneo al grande movimento di elaborazione iconografica che inizia a prendere corpo trasformandosi nel giro di poche generazioni in un grande fenomeno di costume: dal pittore di cartelli per i pupari, con il suo folto corteo dei vari Orlando, Carlo Magno, Ruggero, Rinaldo, ai pincisanti e pittori di ex voto che rubano al repertorio religioso spunti e idee da trasportare sul legno, dando origine a delle vere e proprie correnti artistiche, con i carretti a catanisa, a sant’antunisa, a bruntisa.
Nel volgere di pochi lustri ogni risvolto, anche il più inatteso, dell’immaginario collettivo verrà metabolizzato e reinterpretato secondo il gusto del maestro: episodi della conquista normanna, crociate, rivolta dei vespri, sbarchi garibaldini e guerre d’oltremare, il dramma della gelosia di Cavalleria rusticana, saghe, leggende. Cosicché, a tenere compagnia ai carrettieri durante il viaggio c’erano storie d’amore e duelli sanguinosi, le prodezze dei Mille e quelle dei Paladini, lotte contadine e passioni da melodramma, santi e faraglioni, frutta e angioletti.
Si realizzano così delle autentiche opere d’arte, chiamando a raccolta maestri ebanisti, abili ferrai ed eccellenti pittori, per coniugare amabilmente arabeschi in legno e rilievi in ferro battuto, lasciando il tocco finale a una moltitudine di ricami, ninnoli, pennacchi di lunghe bellissime piume colorate. Quindi, i carretti, nati come carri agricoli, diventano il più alto esempio di artigianato e pittura popolare siciliana.
Quando il carretto perde la sua funzione di mezzo di trasporto, i carradori trasferiscono le loro capacità decorative alle motoape (lape). E quando queste spariscono dalle strade, si va a ricercare altrove il modo di mantenere in vita una così radicata tradizione artistica.
La committenza è cambiata. Nel parco clienti figurano architetti e acquirenti stranieri, musei e enti locali. Al carretto siciliano è toccato reinventarsi in mille modi (le ruote hanno scoperto l’elettricità lasciandosi appendere a mo’ di lampadario; i pannelli hanno imparato a competere con quadri e arazzi sulle pareti di alberghi e residenze private, e le aste, quelle esili sculturine che sembrano totem da passeggio, sono finite per farsi contendere come pezzi da collezionismo). Ma la storia continua, vivissima, allegra e luminosa, come gli innumerevoli paesaggi dell'Etna.
I carretti interi, cercati in aperta campagna e sapientemente restaurati, trovano la propria collocazione ideale assieme a decine di altri pezzi (fiancate, casce, fusi, chiavi...) ripescate da chissà dove, o create di sana pianta. E sono autentici trionfi di colore, i carretti ancor oggi creati nelle nostre poche e gloriose botteghe, dove la tradizione resiste, con una tenacia tutta etnea. Figure come quella di Nerina Chiarenza (figlia di Sebastiano) e Domenico Di Mauro e della sua allieva Alice Valenti, sono ormai circondate da un’aura quasi leggendaria: depositari di un’arte che va scomparendo, tramandano gesti e conoscenze che non si spiegano a parole. Mentre Michelangelo Costantino, che da decenni raccoglie carretti e carrozze d’epoca, della memoria artistica ha fatto una vocazione: la sua collezione conta circa duecento esemplari, alcuni dei quali fanno bella mostra di sé alle Ciminiere di Catania.
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Tiziana- Cumpare
- Messaggi : 655
Data d'iscrizione : 15.01.10
Età : 45
Località : Catania
Re: Il Carretto Siciliano
mi è sempre piaciuto vedere i carretti siciliani ed ancora oggi mi affascinano parecchio.
Grazie Tiziana per l'ottima informazione
Grazie Tiziana per l'ottima informazione
Gabry- Cumpare
- Messaggi : 745
Data d'iscrizione : 18.03.10
Età : 50
Località : Priolo Gargallo
Moto Posseduta : Suzuki GSX-R 600 K6(Racing)
GiusyGTR- Cumpare
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Data d'iscrizione : 15.01.10
Età : 42
Località : piano tavola
Moto Posseduta : Luxury Zavorrina - GTR 1400 "Blacky"
Re: Il Carretto Siciliano
E' sempre un piacere leggere notizie cosi' che a prima vista sembrano senza valore e invece c'e' tutta una storia.......COMPLIMENTI !!!!!!!!
Ospite- Ospite
Re: Il Carretto Siciliano
Complimenti,il carretto siciliano dovrebbe essere patrimonio dell'umanità!!
turboct- Carusu
- Messaggi : 152
Data d'iscrizione : 20.01.10
Età : 47
Località : catania
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